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Sulle competenze regionali Renzi dimentica la sua riforma #debunkingMatteo

Sono passati ormai più di tre anni, ma la questione non è ancora stata superata. Nel 2016, Matteo Renzi era talmente convinto della bontà delle sue riforme costituzionali da promettere le sue dimissioni in caso di bocciatura al referendum. Da allora, Renzi propone, come alternativa alla situazione attuale, lo scenario che ci sarebbe stato in caso di vittoria del sì.

Se la sua fosse solo nostalgica curiosità, si potrebbe ignorarne l’analisi: si tratterebbe casomai di un suo personale problema di elaborazione del trauma (sempre che si possa parlare di trauma nel caso dell’esercizio democratico di diritti di consultazione). La questione diventa però politica quando, per sostenere con qualche anno di ritardo la bontà di quelle riforme, si utilizzano stratagemmi retorici e si ignora perfino il contenuto delle modifiche allora proposte (e bocciate).

Ieri, ad esempio.

La forma

Denunciare i vizi formali di un discorso appare talvolta quasi pedante: la scorrettezza retorica viene spesso giustificata dall’approvazione del merito del discorso. Eppure viviamo in democrazia e la democrazia è una forma, e si basa (anche) sulle forme. Da qui l’esigenza di denunciare le distorsioni e le fallacie che riguardano i discorsi, al netto del loro contenuto (che comunque verrà smontato dopo). È una scelta di priorità nell’analisi: un ordine che può apparire controintuitivo ma che personalmente ritengo essenziale per allenare la dialettica democratica, troppo spesso ignorata o addirittura derisa.

Tornando al post renziano, si possono notare diversi frame tipici della sua propaganda.

Il discorso dicotomico: salute ed economia, contagio e fallimenti; il bipolarismo semplifica (semplicizza, direi, se non fosse un verbo inventato) un tema complesso, sottintendendo un benaltrismo di fondo.

Il riferimento al buon senso: si tratta del superamento di strutture valoriali e ideologiche, in favore di una richiesta di coesione generica e generale. Nessuno ammetterebbe mai di non avere buon senso e, così, una misura politica (di parte, opinabile, negoziabile), diventa una realtà banale, indiscutibile per la sua intrinseca ovvietà.

Vittimismo e accerchiamento: la campagna referendaria si riassume in quel “chiamarono”, di generici nemici pronti ad affossare le riforme.

Strawman argument (la fallacia dell’uomo di paglia, ossia la distorsione delle tesi altrui): nella critica alle riforme ci fu certo l’accenno ai rischi di deriva autoritaria. Ci si riferiva però alla nuova struttura del Parlamento: solo i deputati sarebbero stati eletti direttamente, peraltro con una legge elettorale maggioritaria con un sostanzioso premio di maggioranza che avrebbe notevolmente ridotto rappresentanza e rappresentatività. L’obiezione sui rischi di deriva autoritaria c’era, ma non riguardava le modifiche al Titolo V della Costituzione, ossia il riparto di competenze tra Stato e Regioni.

La sostanza

Ed è sulla sostanza che il discorso renziano, oltre che fallace, si scontra con la realtà storica.

L’articolo 117 della Costituzione elenca diverse materie dividendole tra quelle di competenza esclusiva dello Stato, quelle di competenza esclusiva delle Regioni e quelle a legislazione concorrente. La riforma renziana essenzialmente eliminava quest’ultima sezione e ripartiva le materie tra Stato e Regioni.

Che cosa sarebbe cambiato, in questi giorni di emergenza sanitaria, se la Costituzione fosse stata cambiata?

Lo Stato avrebbe avuto competenza esclusiva nel dare “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”. Questa nuova materia si sarebbe affiancata alla già esistente potestà statale nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali sull’intero territorio nazionale: secondo la Costituzione, lo Stato ha il potere (e il dovere) di garantire l’uniformità dei livelli essenziali di assistenza sanitaria. Questa non era una proposta renziana, è quanto è già scritto nella Carta costituzionale.

Quindi le Regioni sarebbero state obbligate a uniformarsi alle direttive dall’alto in materia di test, quarantene e procedure? Non necessariamente.

La stessa riforma aggiungeva infatti alla competenza esclusiva delle Regioni “la potestà legislativa in materia […] di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”.

Caro lettore, diffida anche da me e controlla alla fonte.

Nota finale: il progetto

Post simili avrei dovuto scriverli anni fa (qualche volta ci ho provato). La prima volta che segnai le parole (anzi, l’hashtag) #debunkingMatteo era il 2014: uno era al governo, sulla cresta dell’onda, l’altro cresceva tra la nuova barba e la presenza televisiva ormai quotidiana. I Matteo sono ovviamente Salvini e Renzi, entrambi chiamati per nome, entrambi considerati grandi comunicatori.

All’epoca consideravo la comunicazione come un sinonimo di propaganda. In realtà la comunicazione è una comunione, non è univoca, non è trasmissione. E perde quindi la sua essenza quando è inquinata da narrazioni tossiche, nella forma o nella sostanza.

Tra la propaganda renziana e quella salviniana notavo diverse analogie: l’ostentazione del buonsenso, lo scimmiottare ideologie e valori a esse riconducibili, l’utilizzo del discorso diretto verso sé stessi, l’aneddotica, la disintermediazione comunicativa, il semplicismo politico, l’appello a snellire (rectius accentrare) i processi decisionali.

Questo progetto di analisi della comunicazione (che spero sistematico ma che non necessariamente lo sarà) non è però una focalizzazione su Renzi o su Salvini. I Matteo passano, prima o poi, gli strumenti di analisi sperimentati sulla loro propaganda restano, sono un esercizio per destrutturare l’inquinamento dialettico, cercando di restituire autenticità al dibattito politico, in difesa di una sovranità popolare che è tale solo quando è consapevole.

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Published in#debunkingMatteo

3 Comments

  1. Paolo Donati Paolo Donati

    Interessante ma, la sostanza rimane. La proposta di riforma costituzionale avrebbe spostato verso il centro la gestione delle problematiche sanitarie. Che il senso fosse il superamento di N regimi sanitari era abbastanza evidente no?

    • Roberta Covelli Roberta Covelli

      Verso il centro ci sarebbe stato uno spostamento non tanto delle problematiche sanitarie, quanto delle disposizioni generali per la tutela della salute. Viceversa, l’organizzazione dei servizi sanitari sarebbe spettata in via esclusiva alle Regioni, quindi senza alcun effetto sulle differenze (specchio di disuguaglianze) tra regimi sanitari regionali.

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