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L’ombra dello sfruttamento sull’epidemia nelle RSA

Pia casa per poveri schifosi, impotenti ed incurabili. Così, alla fondazione, nel 1784, si chiamava l’istituto Golgi di Abbiategrasso. Oggi ospita anziani, è una RSA, residenza sanitaria assistenziale. Rientra nella Azienda di Servizi alla Persona Golgi-Redaelli, insieme a un centro a Milano e uno a Vimodrone.

I tre istituti ospitano in totale, sulla carta, più di 1300 anziani, tra residenti nella RSA e ospiti dei reparti adibiti a centri di cure intermedie. In un mese, 177 di loro sono morti, anche se solo la metà con diagnosi o sospetto di Covid-19. Secondo i dati dell’USB, che ha anche presentato un esposto in procura, un ospite su quattro è positivo.

Le RSA sono state le prime a subire restrizioni

Ma com’è stato possibile che il virus sia entrato negli istituti? Le visite dei familiari nei centri assistenziali sono infatti state tra le prime attività a essere ridotte con l’emergenza coronavirus.

Per quanto riguarda il Golgi-Redaelli, già con avviso del 22 febbraio 2020 si invitavano pazienti, parenti e accompagnatori a seguire particolari disposizioni, come lavarsi le mani prima e dopo l’ingresso. Era ammesso un unico visitatore per ciascun paziente, con comunicazione del nominativo al caporeparto; si richiedeva inoltre di “rispettare gli orari di visita, non accedere alle stanze di degenza più di uno alla volta e permanere per un tempo limitato”.

Martedì 3 marzo, la Direzione Medica dell’Azienda comunicava di aver deciso “di prorogare la limitazione dell’accesso alle sue strutture per parenti e visitatori“, con l’eccezione di richieste urgenti e indifferibili, sempre che ci fosse l’autorizzazione della direzione medica di struttura. Dalla comunicazione successiva, si deduce che la limitazione era quella dell’accesso a giorni alterni, per ridurre l’afflusso di visitatori. Dal 10 marzo, comunque, le visite sono state vietate.

Tutti gli avvisi, però, richiamano ancora alla prevenzione: non ci sono notizie di contagi nella struttura, si vuole evitare che dall’esterno il virus entri negli istituti.

Per questa ragione, non vengono più accettati nuovi ospiti dal territorio, ma solo dagli ospedali: entrano al Golgi-Redaelli pazienti dimessi dalle strutture sanitarie, che hanno bisogno di riabilitazione o che avevano diritto di ingresso in struttura.

Insomma, nuovi ospiti solo per via sanitaria e nessun accesso per i familiari.

Perché un nuovo reparto, se basta aggiungere una parola?

Il divieto di accesso ferma i visitatori, non il virus. Così, ai familiari arrivano le notizie dei contagi, condite di rassicurazioni, attraverso i comunicati delle singole strutture.

Nella sede di Vimodrone, i casi aumentano, come si nota dai bollettini di informazione. Nel primo si chiede collaborazione, mostrando le foto degli anziani ospiti, accuditi dagli operatori muniti di mascherina (chirurgica, con il naso fuori). Nel secondo si ammette come “dalla prevenzione siamo passati alla gestione e al contenimento“. L’ultimo bollettino disponibile sul sito, mercoledì 8 aprile, dichiara 43 ospiti positivi.

La sede milanese annuncia di aver convertito tre reparti in reparti Covid e frasi simili ricorrono anche nel bollettino della struttura di Abbiategrasso: sono le considerazioni rispetto ai nuclei Alzheimer.

Per i Nuclei Alzhiemer che ospitano pazienti con disturbi del comportamento, i quali necessitano di spazi dedicati e personale formato sulla gestione delle problematiche relative alla demenza e ai comportamentali associati, sono state rafforzate le misure di distanziamento. Sono inoltre stati realizzati isolamenti di coorte per i pazienti risultati positivi o sospetti, che non potessero essere spostati nel nucleo COVID, per i motivi sopra descritti. Per quei pazienti che presentano wandering e affaccendamento è stato aumentata la sorveglianza al fine di ridurre il più possibile contatti indesiderati in questa fase.

Mentre nel caso milanese si annuncia lo screening, per istituire due distinti nuclei Alzheimer, nel più piccolo istituto di Abbiategrasso la scelta è diversa: il Nucleo Alzheimer diventa Nucleo Alzheimer-Covid.

A questa modifica di termini, ma non di struttura, si aggiunge una dichiarazione.

Dobbiamo anche essere consapevoli che la presenza stessa di demenza comporta una compromissione del sistema immunitario, e pertanto anche dal punto di vista biologico, rappresenta una condizione che può aumentare il rischio di esito negativo dell’infezione.

Non c’è fondamento clinico nella frase riportata. L’Alzheimer non colpisce il sistema immunitario. Gli ospiti di una RSA sono fragili, hanno un organismo più debole perché hanno spesso malattie cardiocircolatorie, polmonari, renali, non perché sono affetti da demenza. La dichiarazione del Golgi sembra quasi voler prevenire le critiche per l’alto rischio di contagi e decessi a cui sono sottoposti gli ospiti del nucleo Alzheimer (ora Alzheimer-Covid).

E i rischi, peraltro, non riguardano solo gli anziani pazienti.

La retorica del sacrificio: come stanno i lavoratori

I dipendenti dell’ASP Golgi-Radaelli hanno perso già due colleghe. Nei giorni scorsi, è morta Caterina: aveva cinquant’anni e lavorava nella sede di Abbiategrasso. A fine marzo c’era stata un’altra vittima, Rosaria, aveva cinquantotto anni ed era operatrice socio-sanitaria nella sede milanese.

Di lei il direttore generale, in risposta alla lettera anonima di un’infermiera, ha scritto che “nonostante i suoi problemi di salute, non si è mai risparmiata con i nostri anziani“. E aggiunge: “A Rosaria non avevamo chiesto di svolgere attività che la mettessero a rischio ma il lavoro ordinario che prevede anche contatti – con tutte le cautele del caso e con i dispositivi di sicurezza previsti –, con soggetti asintomatici“.

Secondo i dati USB, nelle tre strutture dell’ASP Golgi-Redaelli sono in totale 356 gli operatori in infortunio o malattia. Per il lavoro in sicurezza servirebbero i dispositivi di protezione individuale: la direzione assicura che, nonostante le difficoltà di reperirne, ci sono idonee protezioni per gli operatori nei reparti Covid e mascherine chirurgiche per i nuclei privi di ospiti positivi, ma è del 6 aprile scorso la diffida all’azienda da parte della CGIL per la carenza di camici monouso.

Oltre a Rosaria e Caterina, al Golgi-Redaelli, è morta un’altra operatrice sanitaria, Greta. Era in malattia, ma non è stata sottoposta a tampone, quindi non c’è certezza che sia una vittima del Covid. C’è però un’altra differenza nel caso di Greta: era lavoratrice di cooperativa.

Risparmiare sul servizio: la gestione in appalto

Al Golgi-Redaelli non lavorano infatti solo operatori dipendenti dell’azienda, ma in diversi reparti il servizio è esternalizzato tramite appalto.

È di meno di un mese fa, peraltro, la sentenza con cui il TAR annulla il bando di gara indetto dall’azienda per l’appalto del servizio di gestione del servizio sanitario-assistenziale e di reparti di degenza R.S.A. per gli istituti di Vimodrone e di Milano. Secondo il giudice amministrativo, la base d’asta era insufficiente a garantire il servizio, in particolare rispetto ai costi (sotto) stimati per servizi secondari e compenso del personale.

Il tema è piuttosto discusso. Con un’audizione in Regione Lombardia lo scorso settembre, le rappresentanze sindacali denunciavano come, sotto un appalto di servizi, possa celarsi una somministrazione illecita di personale.

Sanità e assistenza: il nuovo regno delle coop

Lasciando da parte l’eventuale utilizzo fraudolento degli appalti, il funzionamento del settore sanitario e assistenziale si fonda ormai anche sul supporto delle società cooperative. Secondo i dati Istat, anche se solo il 2,9% delle imprese del settore sono cooperative, da esse proviene il 21,6% del valore aggiunto. Non solo. Nel settore sanità e assistenza, più di un occupato su tre è un lavoratore di cooperativa.

Come rilevato da uno studio Euricse sul contributo delle cooperative nella cura della salute, il sistema sanitario pubblico ha progressivamente richiesto e accettato una parziale privatizzazione dei servizi. Questo dipende sia da scelte di politica economica, sia dall’emergere di nuovi bisogni, quali ad esempio la cura degli anziani.

Le strutture assistenziali o socio-sanitarie per anziani sono imprese private o enti di diritto pubblico, come è ad esempio il Golgi-Redaelli. In queste realtà, pubbliche o private che siano, sono impiegati sia dipendenti dell’azienda, sia spesso lavoratori di cooperativa, in somministrazione o in appalto.

Ma come è possibile un tasso così alto di occupati nel settore per una realtà societaria, quella delle cooperative, tutto sommato marginale?

Il rischio non è solo lo sfruttamento

L’impiego di lavoratori in appalto costituisce un risparmio per le aziende: esternalizzando un settore, il costo per l’appaltante è fisso e il rischio d’impresa, così come la gestione del personale, rientra nelle competenze dell’appaltatore. Sarà poi un problema delle cooperative decidere come risparmiare. Troppo spesso, in questo modo, il decentramento in appalto si tramuta nella semplice riduzione del costo del lavoro, ad esempio attraverso l’applicazione di condizioni contrattuali peggiori di quelle che spettano ai lavoratori direttamente assunti dall’azienda.

Nelle normali dinamiche del mercato, insomma, il problema dell’affidamento di parti del servizio in appalto è solo l’eventuale sfruttamento dei lavoratori.

Durante l’emergenza sanitaria, però, il rischio è più alto. Sul punto si sofferma anche la RSU del Golgi-Redaelli, con una segnalazione all’azienda, al prefetto e alle istituzioni. La denuncia riguardava, tra l’altro, anche

Il grave e perdurante omesso controllo sul rispetto dei più elementari e doverosi protocolli di sicurezza da parte delle ditte appaltatrici COLSER e CONSORZIO BLU che a lungo non hanno fornito i dovuti DPI ai propri operatori che si occupano di sanificazione e pulizia (COLSER) e Assistenza Socio-Sanitaria (Consorzio BLU); una situazione che può aver indubbiamente aggravato – se non ingenerato – la situazione di contagio oggi in essere.

La questione non riguarda solo le tre strutture del milanese, ma investe questioni politiche, sociali, umane dei cosiddetti “servizi alla persona”. Per prevenzione, sono state subito recise le relazioni emotive di anziani già strappati dal proprio contesto domestico, eppure non sembrano essere state previste le stesse attenzioni verso altri pericoli epidemiologici. Gli ingressi dagli ospedali nelle strutture, le scelte di mancato isolamento, la scarsa tempestività nelle diagnosi. E ancora. Il via vai assistenziale, diverse direzioni e responsabilità, disomogeneità nella tutela dei lavoratori. Scelte di risparmio e scelte di profitto, mentre muoiono persone e si perde umanità.

 

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